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una tavola una storia

di Massimo Montanari

La tavola è sempre stata il luogo di massima concentrazione delle energie materiali e intellettuali dell’uomo. La centralità del gesto alimentare, indispensabile per la sopravvivenza della specie, ha caricato il momento del pasto di significati profondi, legati al senso del vivere – o meglio, del vivere insieme, giacché l’uomo, animale sociale per eccellenza, ha sempre pensato al consumo del cibo come esperienza di condivisione: “noi non ci riuniamo per mangiare, ma per mangiare insieme”, scrisse Plutarco. E allora il convivio diventa, fin nell’etimologia, il simbolo del vivere insieme. Si carica di ogni sorta di valori, di rappresentazioni, di rituali. Diventa lo specchio del mondo.

Non è dunque sorprendente la scelta di Joan Crous, che alla tavola ha dedicato gran parte del suo lavoro d’artista, sostenendo con forza la natura espressiva del gesto conviviale. Sorprendente invece è il modo in cui lo ha fatto, applicandosi a tecnologie innovative che richiamano all’antico, giocando con lo spazio e il tempo nell’intento di riprodurre realità in bilico tra presente passato e futuro, che mescolano il linguaggio della bellezza a quello della testimonianza: splendide realizzazioni plastiche che appaiono memoria di un gesto consumato, eco di un avvenimento che risuona nella materia. Ogni tavola, ogni cena è stata fissata in un impasto vitreo, di suggestiva ascendenza pompeiana, che ha inglobato resti organici e inorganici consegnandoli all’illusione dell’eternità.